lunedì 5 aprile 2010
domenica 4 aprile 2010: il secondo giorno di sopralluogo
La pizzeria cimbra
La mattina seguente, dopo una bella doccia e una colazione a base di salumi e formaggio asiago, salutiamo Gabriello e prendiamo la strada bassa, quella che va verso il centro del paese. Il nostro obiettivo è la pizzeria cimbra, un ristorante che non riuscivamo a trovare fino a che non siamo scesi fino al ruscello. Dobbiamo smettere di pensare come se fossimo in pianura, dove l’insegna corrisponde al negozio sottostante. In montagna, il sottostante può essere VERAMENTE sotto.
Il paese è inerpicato sui versanti più bassi di questa valle, e le viottole sono tortuose e costeggiate da alti muri di pietra dai quali spuntano fiori in grande quantità. Si tratta dell’architettura verde tipica della montagna, che toglie una pietra qua e una là e al loro posto inserisce terra e fiori, con il risultato di ottenere un muro fiorito ben prima che qualche architetto reinventasse il progetto e lo vendesse a caro prezzo alle grandi città inquinate.
La pizzeria è chiusa, ma c’è della gente in veranda. Bussiamo alla porta a vetri e un uomo ci viene ad aprire. Chiediamo di Gabriele dietro suggerimento di Gabriello, il che mi fa pensare che, se in questo paese il cognome più gettonato è Dal Bosco, esista anche una top ten dei nomi propri.
Informazioni preziose
Molte sono le informazioni che otteniamo da Gabriele. La prima è che ha collaborato alla realizzazione di un documentario anteriore, un lungometroaggio in co-produzione italo-brasiliana basato sulla storia degli emigranti lessini in Brasile. Pare che, fino a qualche anno addietro, esistesse ancora un’unica parlante di Cimbro, una signora ottuagenaria che, dopo una vita di residenza a Rio Grande do Sul, si ostinasse a parlare l’antica lingua cimbra.
Ma la sorpresa più grande è stata intervistare suo padre, che parla ancora cimbro come prima lingua e che ci ha raccontato del filò, la tradizione di passare le notti d’inverno in una stalla a eseguire piccoli lavori, a preparare la dote per le ragazze e a raccontarsi storie. Quindi è partito in quarta a narrarci in cimbro una delle tante leggende di quei boschi, con protagonisti un’incauta ragazza e un orco malvagio. L’ho registrata come ho potuto, con un registratore a cassette, e ora devo trasformarla in un file audio. Mi sa che nel materiale da comprare dovrò includere anche un registratore MP3, se no ogni volta impazzisco.
Il bar Ljetzen 2
Prima di andarcene ripassiamo a salutare Giorgio, il gestore del bar che ci ha aiutato il giorno prima. Sembra contento di vederci, e ancora di più quando scopre che tanta gente ci ha dato una mano e abbiamo raccolto così tanto materiale. Ci riempie di volantini e libretti utili, e poi, quando scopre che Pablo è galiziano, esordisce in un Ultreia! che lo rivela pellegrino di Santiago de Compostela. Si inoltra quindi in una descrizione dettagliata della preparazione tecnica per affrontare 800 chilometri, e dell’unico modo per non farsi venire le vesciche ai piedi: scarpe tecniche leggere, calze di lana e una bella “smerdata” (tecnicismo suo) di vaselina ogni mattina. Questo se a qualcuno di voi venisse voglia di provarci.
Il ritorno
La nostra bibbia, prima di venire sopraffatti dai foglietti del barista, era una vecchia edizione de “L’Italia dei parchi naturali”, una co-produzione della Fabbri e di Airone, di quelle che arrivavano a fascicoli nei quotidiani e che tu poi facevi rilegare una volta completata la raccolta. Questo per dire che ci fu un tempo in cui anche nel nostro paese i quotidiani erano uno strumento di diffusione di cultura e non di gossip, come ora.
Decidiamo di ritornare verso Milano seguendo l’itinerario proposto dal volume, in senso inverso, dalla Lessinia orientale verso quella occidentale. Ci inoltriamo quindi nell’altopiano collinare lasciandoci alle spalle il Gruppo del Carega e attraversando l’ecosistema cimbro. A mano a mano che si scende scompaiono i boschi di aghifoglie e si fanno strada i pascoli: questo perché i cimbri, nella loro incessante attività di produzione di carbone fossile, hanno disboscato quasi completamente intere aree dove ora spuntano primule, crochi e rododendri.
La pietra
I confini delle proprietà sono segnate da grandi lastre di pietra inserite in verticale nel terreno, a mò di primitiva staccionata, con il risultato di parere una bocca perennemente aperta in un ghigno sgangherato. Tutt’intorno, agglomerati di quattro case che mantengono la tipica copertura cimbra a due falde: tetti fortemente pendenti in paglia pressata (canèl) e pesanti lastroni di pietra sopra
Spostandosi sia in senso longitudinale che latitudinale cambia il colore di queste pietre, in quanto diversa è la loro origine: dalla pietra rossastra a scaglie delle alte valli occidentali, ai calcari chiari della zona collinare centrale, alla selce della montagna veronese fino al basalto nero della Val d’Apone, estremità orientale della Lessinia.
Prima c’era il mare
Il paesaggio si impone sulle stradine che traccia l’uomo, e non posso fare a meno di pensare a come si sia costruito tutto ciò, nel corso della storia.
50 milioni di anni fa, dove ora c’è l’altopiano che stiamo percorrendo, vi era la Tetide, una laguna tiepida e ricca di pesci molto simili a quelli dei mari tropicali odierni. Poi gli sconvolgimenti della terra e la presenza di vulcani hanno prosciugato la laguna e sollevato con violenza il fondo marino. Sono così nati i gruppi montuosi circostanti, l’altopiano della Lessinia e gli stupendi fossili che testimoniano la presenza di un ecosistema marino antecedente e che sono numerosi soprattutto a Bolca, nella cosidetta “pesciara”.
Il carsismo
Mentre il mare della Tetide si ritirava, gli agenti atmosferici iniziarono a modellare la roccia tenera dell’antico suolo marino. L’acqua dolce si insinuò nel sottosuolo, crepato dall’azione alterna del sole e del ghiaccio, creando fenditure in tutte le direzioni, e formando torrenti sotterranei, laghi nascosti, sorgenti improvvise e spettacolari cascate. Questo fenomeno è conosciuto come carsismo.
Ancora oggi, mentre ci inerpichiamo sui versanti di queste colline per passare da una valle all’altra, rimaniamo affascinati da ciò che riusciamo a scorgere dal finestrino dell’automobile: remote grotte, caverne seminascoste dalla vegetazione rigogliosa, lontani anfratti che spuntano dalle pareti a strapiombo delle montagne rosse.
I più famosi fenomeni carsici di superficie si trovano nella Valle delle Sfingi, una zona nel comune di Camposilvano nella quale sono disseminati pesanti blocchi di pietra lastriforme che, modellate dagli agenti atmosferici, assumono forme suggestive, e lungo la provinciale 14 in zona Sant’Anna d’Alfaedo, dove un gigantesco ponte di pietra naturale detto Ponte di Veja è ciò che rimane dopo il crollo di un’enorme caverna. Il responsabile di tale cedimento strutturale è un torrente che in primavera non sembra essere così pericoloso, ma che in estate si gonfia d’acqua a seguito delle piogge primaverili e dello scioglimento dei ghiacciai.
Il futuro
Ci rimangono ancora tante cose da vedere in Lessinia, però dobbiamo ammettere che come assaggio non è stato niente male. Soprattutto ci rimane il piacere di avere assaporato qualcosa di buono, naturale e originale, e la tristezza di sapere che a poco a poco sta scomparendo.
Un rammarico tutto personale per me, che di professione sono docente in una scuola media, è di vedere come i ragazzi non siano tanto interessati alla riscoperta delle proprie radici e alla salvaguardia e protezione del proprio patrimonio culturale, quanto all’omologazione e alla perdita di un’identità personale a favore di un’identità collettiva. Ma, come ben diceva Pirandello, se sei uno e sei anche centomila, corri il rischio di non essere nessuno.
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