domenica 25 aprile 2010

domenica 25 aprile: la pre-produzione... da balcone!

Oggi è stata una giornata ricca di lavoro, anche se si è concentrata nel pomeriggio e nonostante fosse un giorno di festa. Pablo ha infatti approntato il piano di produzione semi-definitivo per il documentario, il che consiste in quattro fogli A4 carichi di ghiribizzi. La cosa carina è che siamo andati a discutere del progetto al parco qui vicino, ma la quantità di bambini e genitori in libera uscita ci ha convinti a ritornare a casa per continuare a parlare in santa pace. Il video dimostra che sul nostro balcone non si sta poi tanto male...

Dopo aver girato quattro riprese, due per ciascuno in due lingue, ho fatto il montaggio brutale in iMovie. Il risultato è quello che potete vedere qui. Per caricare i video abbiamo aperto un canale in YouTube che si chiama edelfiles, ma dobbiamo aggiungere dei tags perché se no non ci troviamo manco noi.

Il prossimo passo è aprire anche una pagina su Facebook, ma è meglio fare una cosa alla volta, già il computer sta andando abbastanza lento. Comunque stiamo prendendo confidenza con i mezzi tecnici e tecnologici: videocamera, software di montaggio, cavi e cavetti, hard disk esterni per salvare il tutto... sinceramente, qualche anno fa non avrei mai pensato di poter fare tutto questo!

In settimana ci siamo divisi i lavori così: Pablo deve creare il logo di EdelFiles e io devo riallacciare i contatti con la Lessinia. Se tutto va bene, saremo da loro tra due settimane, tra l'8 e il 9 maggio, in occasione dell'accensione della pira per la creazione del carbon fossile secondo l'antica modalità cimbra.

lunedì 5 aprile 2010

domenica 4 aprile 2010: il secondo giorno di sopralluogo



La pizzeria cimbra
La mattina seguente, dopo una bella doccia e una colazione a base di salumi e formaggio asiago, salutiamo Gabriello e prendiamo la strada bassa, quella che va verso il centro del paese. Il nostro obiettivo è la pizzeria cimbra, un ristorante che non riuscivamo a trovare fino a che non siamo scesi fino al ruscello. Dobbiamo smettere di pensare come se fossimo in pianura, dove l’insegna corrisponde al negozio sottostante. In montagna, il sottostante può essere VERAMENTE sotto.
Il paese è inerpicato sui versanti più bassi di questa valle, e le viottole sono tortuose e costeggiate da alti muri di pietra dai quali spuntano fiori in grande quantità. Si tratta dell’architettura verde tipica della montagna, che toglie una pietra qua e una là e al loro posto inserisce terra e fiori, con il risultato di ottenere un muro fiorito ben prima che qualche architetto reinventasse il progetto e lo vendesse a caro prezzo alle grandi città inquinate.
La pizzeria è chiusa, ma c’è della gente in veranda. Bussiamo alla porta a vetri e un uomo ci viene ad aprire. Chiediamo di Gabriele dietro suggerimento di Gabriello, il che mi fa pensare che, se in questo paese il cognome più gettonato è Dal Bosco, esista anche una top ten dei nomi propri.

Informazioni preziose
Molte sono le informazioni che otteniamo da Gabriele. La prima è che ha collaborato alla realizzazione di un documentario anteriore, un lungometroaggio in co-produzione italo-brasiliana basato sulla storia degli emigranti lessini in Brasile. Pare che, fino a qualche anno addietro, esistesse ancora un’unica parlante di Cimbro, una signora ottuagenaria che, dopo una vita di residenza a Rio Grande do Sul, si ostinasse a parlare l’antica lingua cimbra.
Ma la sorpresa più grande è stata intervistare suo padre, che parla ancora cimbro come prima lingua e che ci ha raccontato del filò, la tradizione di passare le notti d’inverno in una stalla a eseguire piccoli lavori, a preparare la dote per le ragazze e a raccontarsi storie. Quindi è partito in quarta a narrarci in cimbro una delle tante leggende di quei boschi, con protagonisti un’incauta ragazza e un orco malvagio. L’ho registrata come ho potuto, con un registratore a cassette, e ora devo trasformarla in un file audio. Mi sa che nel materiale da comprare dovrò includere anche un registratore MP3, se no ogni volta impazzisco.

Il bar Ljetzen 2
Prima di andarcene ripassiamo a salutare Giorgio, il gestore del bar che ci ha aiutato il giorno prima. Sembra contento di vederci, e ancora di più quando scopre che tanta gente ci ha dato una mano e abbiamo raccolto così tanto materiale. Ci riempie di volantini e libretti utili, e poi, quando scopre che Pablo è galiziano, esordisce in un Ultreia! che lo rivela pellegrino di Santiago de Compostela. Si inoltra quindi in una descrizione dettagliata della preparazione tecnica per affrontare 800 chilometri, e dell’unico modo per non farsi venire le vesciche ai piedi: scarpe tecniche leggere, calze di lana e una bella “smerdata” (tecnicismo suo) di vaselina ogni mattina. Questo se a qualcuno di voi venisse voglia di provarci.

Il ritorno
La nostra bibbia, prima di venire sopraffatti dai foglietti del barista, era una vecchia edizione de “L’Italia dei parchi naturali”, una co-produzione della Fabbri e di Airone, di quelle che arrivavano a fascicoli nei quotidiani e che tu poi facevi rilegare una volta completata la raccolta. Questo per dire che ci fu un tempo in cui anche nel nostro paese i quotidiani erano uno strumento di diffusione di cultura e non di gossip, come ora.
Decidiamo di ritornare verso Milano seguendo l’itinerario proposto dal volume, in senso inverso, dalla Lessinia orientale verso quella occidentale. Ci inoltriamo quindi nell’altopiano collinare lasciandoci alle spalle il Gruppo del Carega e attraversando l’ecosistema cimbro. A mano a mano che si scende scompaiono i boschi di aghifoglie e si fanno strada i pascoli: questo perché i cimbri, nella loro incessante attività di produzione di carbone fossile, hanno disboscato quasi completamente intere aree dove ora spuntano primule, crochi e rododendri.

La pietra
I confini delle proprietà sono segnate da grandi lastre di pietra inserite in verticale nel terreno, a mò di primitiva staccionata, con il risultato di parere una bocca perennemente aperta in un ghigno sgangherato. Tutt’intorno, agglomerati di quattro case che mantengono la tipica copertura cimbra a due falde: tetti fortemente pendenti in paglia pressata (canèl) e pesanti lastroni di pietra sopra
Spostandosi sia in senso longitudinale che latitudinale cambia il colore di queste pietre, in quanto diversa è la loro origine: dalla pietra rossastra a scaglie delle alte valli occidentali, ai calcari chiari della zona collinare centrale, alla selce della montagna veronese fino al basalto nero della Val d’Apone, estremità orientale della Lessinia.

Prima c’era il mare
Il paesaggio si impone sulle stradine che traccia l’uomo, e non posso fare a meno di pensare a come si sia costruito tutto ciò, nel corso della storia.
50 milioni di anni fa, dove ora c’è l’altopiano che stiamo percorrendo, vi era la Tetide, una laguna tiepida e ricca di pesci molto simili a quelli dei mari tropicali odierni. Poi gli sconvolgimenti della terra e la presenza di vulcani hanno prosciugato la laguna e sollevato con violenza il fondo marino. Sono così nati i gruppi montuosi circostanti, l’altopiano della Lessinia e gli stupendi fossili che testimoniano la presenza di un ecosistema marino antecedente e che sono numerosi soprattutto a Bolca, nella cosidetta “pesciara”.

Il carsismo
Mentre il mare della Tetide si ritirava, gli agenti atmosferici iniziarono a modellare la roccia tenera dell’antico suolo marino. L’acqua dolce si insinuò nel sottosuolo, crepato dall’azione alterna del sole e del ghiaccio, creando fenditure in tutte le direzioni, e formando torrenti sotterranei, laghi nascosti, sorgenti improvvise e spettacolari cascate. Questo fenomeno è conosciuto come carsismo.
Ancora oggi, mentre ci inerpichiamo sui versanti di queste colline per passare da una valle all’altra, rimaniamo affascinati da ciò che riusciamo a scorgere dal finestrino dell’automobile: remote grotte, caverne seminascoste dalla vegetazione rigogliosa, lontani anfratti che spuntano dalle pareti a strapiombo delle montagne rosse.
I più famosi fenomeni carsici di superficie si trovano nella Valle delle Sfingi, una zona nel comune di Camposilvano nella quale sono disseminati pesanti blocchi di pietra lastriforme che, modellate dagli agenti atmosferici, assumono forme suggestive, e lungo la provinciale 14 in zona Sant’Anna d’Alfaedo, dove un gigantesco ponte di pietra naturale detto Ponte di Veja è ciò che rimane dopo il crollo di un’enorme caverna. Il responsabile di tale cedimento strutturale è un torrente che in primavera non sembra essere così pericoloso, ma che in estate si gonfia d’acqua a seguito delle piogge primaverili e dello scioglimento dei ghiacciai.

Il futuro
Ci rimangono ancora tante cose da vedere in Lessinia, però dobbiamo ammettere che come assaggio non è stato niente male. Soprattutto ci rimane il piacere di avere assaporato qualcosa di buono, naturale e originale, e la tristezza di sapere che a poco a poco sta scomparendo.
Un rammarico tutto personale per me, che di professione sono docente in una scuola media, è di vedere come i ragazzi non siano tanto interessati alla riscoperta delle proprie radici e alla salvaguardia e protezione del proprio patrimonio culturale, quanto all’omologazione e alla perdita di un’identità personale a favore di un’identità collettiva. Ma, come ben diceva Pirandello, se sei uno e sei anche centomila, corri il rischio di non essere nessuno.

sabato 3 aprile 2010: Il primo giorno di sopralluogo





La partenza
Partiamo in ritardo (ore 11) perché la sveglia non suona. Deve essere amica della videocamera. Il traffico, piuttosto che quello di una giornata di festa, sembra quello del mercoledì mattina, il che è deprimente. Dopo due ore e una pausa pipì-carburanti-pranzo all’autogrill di Monte Baldo, usciamo dall’A4 e ci inoltriamo nel cuore della Lessinia Orientale.

L’ingresso in Lessinia
L’uscita Soave è degna del nome che porta: chilometri quadrati di campi coltivati a filari di vite che accarezzano lo sguardo. Più in alto, sul versante di solatìo, ulivi e meli fioriti. Ovunque si guardi, non c’è un centimetro di campagna incolta: l’operosità veneta trasuda da queste terre ricche e morbide.
Nugoli di ciclisti ci accompagnano mentre risaliamo la provinciale 10 fino nel cuore della Lessinia, altopiano costituito da una serie di piccole valli che scendono a ventaglio da nord a sud, perpendicolari alla Pianura padana. Questa che stiamo percorrendo tanto “soavemente” è una delle più orientali, la Val d’Illasi.

L’arrivo a Giazza
Giazza, in cimbro Ljetzan, è un centro abitato di un centinaio di anime a 750 metri di altitudine, tra la fine della val d’Illasi e l’inizio del sentiero europeo di escursionismo n.5 che unisce la Bretagna al Mare Adriatico. Sulla vallata, stretta e poco soleggiata, torreggia il gruppo del Carega, detto anche delle Piccole Dolomiti, tutte cime al di sopra dei duemila metri quindi piccole un corno.
Giazza ha una chiesa bianca, un nugolo di case chiare tutt’intorno, un torrente rumoroso e pochi gradi sopra lo zero, per non dire nessuno. Ci sono due strade: quella di sotto va verso il museo etnografico, quella di sopra al nostro albergo. Decidiamo di scendere e andare al museo per ambientarci un po’.

Il bar Ljetzan
Il Centro di Cultura e Lingua Cimbra, il museo etnografico e Radio Cimbri sono situati nello stesso edificio sulla piazza principale del paese. Ma è chiuso. Controlliamo l’orologio, poi ci rendiamo conto che è il sabato di pasqua e quindi il custode se la sarà presa comoda. Decidiamo di chiedere informazioni e un grappino al bar Ljetzan, proprio lì di fronte.
Nel bar c’è un bel tepore, ci sono quattro avventori anziani che scappano non appena sentono la parola “cimbro” e un gestore affabile che ci raccomanda pazienza. Ci passa poi, quasi sottobanco, un’informazione preziosa: suo padre è l’ultimo discendente di una famiglia di carbonai e ogni anno, a maggio, produce il carbon fossile secondo l’antica tradizione cimbra. A mò di invito ci consegna un depliant sul quale è illustrato (in cimbro) l’intero processo da In koular hakat iz holtz in balt (il carbonaio taglia la legna nel bosco) fino a Iz koul ist gamasht (Il carbone è fatto). Se il 9 maggio non avete nulla da fare, potete accompagnarci in Lessinia.

Il Museo
Nel Museo, ora aperto, fa più freddo di fuori, e sì che fuori fa freddino. Ci apre Roberto, dell’associazione culturale Curatorium Cimbricum Veronense, il quale risponde con pazienza alle nostre domande ancora un po’ vaghe. Ci dà dei consigli, dei nomi, e alcune videocassette che purtroppo non riusciremo a vedere. Grazie a lui otteniamo i contatti giusti per approfondire la nostra inchiesta. Mentre io chiacchiero, Pablo, al piano di sotto, scatta foto e si documenta nel museo. Materiale che ci potrà essere utile in fase di post-produzione.

L’albergo Belvedere
A Giazza di sopra, in una splendida posizione panoramica sulla stretta Val d’Illasi, sta il nostro hotel. Gabriello, il gestore, ci accoglie con gentilezza e, dopo averci dato la camera con la vista più bella (ma siamo praticamente gli unici clienti, quindi...) ci indica a un tavolo il signor Cesare, parlande cimbro doc. Ci avviciniamo, e il signor Cesare giustamente ci fa notare che è difficile parlare da solo, quindi se vogliamo sentirlo parlare cimbro, dobbiamo aspettare che arrivi qualcuno. Ma non abbiamo tempo, purtroppo, e lo salutiamo prendendo il suo numero di telefono. Ci rivedremo questa primavera per un’interessante conversazione. In cimbro, ovviamente.

L’agriturismo del campione
L’agriturismo Dal Bosco “Eibaner” si trova a un chilometro scarso oltre Giazza. Quando lo raggiungiamo sta piovendo e, a parte noi, fuori ci sono soltanto un ragazzo che sta spingendo un carriola di ciocchi di legna e un uomo magro e forte: il signor Lino. Questi si illumina quando scopre che veniamo a parlare di Cimbri e ci fa entrare.
Siamo da lui perché Gabriello ci ha raccontato che nel suo agriturismo ogni anno si rappresentano gli antichi mestieri della tradizione cimbra in una festa agli inizi di settembre, che coincide con la discesa dagli alpeggi delle mandrie e delle greggi. Ma il signor Lino, oltre che un solerte organizzatore di riunioni enogastronomiche e culturali, è un parlante di cimbro amico di cimbri e membro fondatore dell’associazione Veri Cimbri di Giazza. E cominciano a essere due le associazioni, chissà se si coordinano e come.
La cosa interessante è che hanno contattato, tramite il presidente della comunità montana, anche la direttrice didattica della scuola per proporle di inserire nel curriculo un’ora di lingua cimbra. Il viso del signor Lino mentre difende il diritto a che questa lingua, per causa della quale quarant’anni prima si veniva sbeffeggiati o picchiati, venga ora preservata, è un misto di tenerezza e rabbia.
Ce ne andiamo con un invito alla manifestazione di settembre, e con il ricordo delle maratone che il giovane Lino Dal Bosco correva per le Alpi. I ritagli ingialliti sulle pareti mostrano un campione imbattibile più che per forza, per resistenza e più che per tecnica, per tenacia.

Risorse fotografiche
Torniamo in albergo soltanto per indossare gli scarponi da trekking e un pile sotto la giacca a vento. Alle 6 di sera Pablo ha infatti deciso che si va a fare un giro e a prendere “risorse” utili. Il fatto di andare a piedi ci permette di scoprire la Giazza di mezzo, un paesino di case sprangate in attesa di essere nuovamente occupate. Costeggiando il lato sinistro della chiesa, proseguiamo verso il fondovalle dove un rumoroso torrente scorre limpido e freddo. Attraversiamo il ponte e risaliamo il crinale della montagna di fronte, il che ci permette di scattare alcune belle foto del paese e di effettuare alcune riprese.
Disgraziatamente, proprio mentre sono intenta a camminare osservando genziane e ranuncoli, noto qualcosa di strano allo scarpone destro: la suola mi si sta staccando. Quando cammino l’effetto è quello delle scarpe dei vagabondi: a me non escono le dita dei piedi ma quasi. Così, contravvenendo il proverbio, sono costretta a fare “il passo più lungo della gamba” e a trascinare il piede destro in maniera così innaturale che, se ci fosse stato qualcuno, avrebbe pensato che avessi una gamba più corta dell’altra.
Ripassiamo nuovamente di fronte all’agriturismo Dal Bosco e risaliamo lungo la strada asfaltata, all’altro lato della valle. Mentre ci rechiamo all’albergo scattando molte foto, Pablo mi spiega una nuova idea di sceneggiatura per il documentario, ma io sono così stanca e infreddolita, e per di più un po’ alterata dal contrattempo con lo scarpone, che non gli presto più di tanto attenzione. Il teporino dell’albergo è un vero sollievo. E lo è anche rimettermi le scarpe da tennis.

L’albergo Belvedere 2
La cena è squisita: gnocchi conditi con formaggio di malga e, per secondo, una splendida trota salmonata cotta sul carbone. La signora ha fatto anche la torta, una variante esoterica degli after eight, e il padrone di casa ha continuato a mescere vino e vinello, fatto sta che in poco tempo sono un po’ brilla e mi metto a commentare a voce forse un po’ troppo alta le performaces canore dei bambini che partecipano a un concorso di canto, suscitando la disapprovazione dell’unica altra coppia presente, visibilmente emozionata dalle ugole d’oro dei nanerottoli.
Dopo cena facciamo il punto della situazione, lavorando nel gelo più totale. L’albergo è vuoto, e il nostro calorifero non riesce a supplire la mancanza di vicini. Così, vestiti di tutto punto, incluso cappello di pile stile papalina, ci mettiamo a lavorare al computer, rivedendo filmati e fotografie e scrivendo la sceneggiatura sotto le coperte. Ma devo ammettere che la stanchezza, il calduccio e la digestione hanno favorito un sonno profondo.

I Cimbri




I preparativi

Ci siamo decisi, finalmente. Domani si parte. Da un po’ ci informiamo sui Cimbri, una popolazione di origine germanica che si è stanziata in Lessinia a cavallo tra l’Alto e il Basso medioevo (1050 a.C.circa) e ha mantenuto per secoli lingua e tradizioni diverse da quelle tutt’intorno. Per chi se lo stesse domandando, la Lessinia è una regione naturale a cavallo tra tre province: Verona, Vicenza e Trento.
Purtroppo dovremo andare senza videocamera giacché, con un tempismo eccellente, ha deciso di non funzionare giusto oggi. Nel frattempo faremo foto, ripresine di sopralluogo e tanti contatti.